Dopo il capitolo XXVI.

È un fatto rilevante che The Catcher in the Rye abbia 26 capitoli.

Non so in che direzione sia rilevante, ma avverto questo dato, e lo segnalo.

Stanotte ho letto, prima in italiano e poi in originale, la sequenza XXV-XXVI. Mi è venuta in mente quella canzone di De Gregori, L’uccisione di Babbo Natale, in cui al termine di un complesso percorso iniziatico i due protagonisti, Dolly del Mare Profondo e il Figlio del Figlio dei Fiori, «si danno la mano e ritornano a casa / tornano a casa dai genitori».

Del XXV mi colpiscono tante cose. La giostra come checkpoint della crescita: Holden non va sulla giostra, Phoebe si sente grande («”I’m too big”, she said») però ci va, e fa diversi giri scegliendo «this big, brown, beat-up-looking old horse».

Mi commuove l’immaginario pericolo di sprofondare nel cemento della sede stradale fra gli isolati, una fantasia parallela all’«impiombamento» che ricorre in due scene, e la fantasia di salvazione e protezione a opera di Allie, il fratello morto. Si tratta di qualcosa di serio: il pensiero di scomparire inghiottito dalla strada fa sudare Holden «like a bastard», e l’attraversamento compulsivo va avanti fin oltre la Sessantesima strada.

Allie, don’t let me disappear. Allie, don’t let me disappear. Allie, don’t let me disappear. Please, Allie.

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la segale, il bacio.

Nota al titolo.
 
Il titolo di questo romanzo, The Catcher in the Rye, è intraducibile. Al suo significato si fa riferimento di sfuggita in due punti del libro (capp. XVI e XVII). La famosa canzone scozzese di Robert Burns cui si allude ha una strofa che dice:
 
Gin a body meet a body
Coming through the rye;
Gin a body kiss a body,
Need a body cry?
 
Cioè, traducendo letteralmente dal vernacolo scozzese: Se una persona incontra una persona che viene attraverso la segale; se una persona bacia una persona, deve una persona piangere?
Il protagonista del romanzo, il giovane Holden Caulfield, sente cantare questa vecchia canzone da un bambino per la strada; crede di ricordarsi quel primo verso ma se lo ricorda storpiato: “If a body catch a body coming through the rye” (Se una persona afferra una persona che viene attraverso la segale). L’immagine che questo verso storpiato gli chiama alla mente è quella di una frotta di bambini che giocano in un campo di segale, sull’orlo di un dirupo; quando un bambino sta per cascare nel dirupo c’è qualcuno che lo acchiappa al volo: the catcher in the rye, che potremmo tradurre: l’acchiappatore nella segale, il coglitore nella segale, il pescatore nella segale.
Ma un titolo come The Catcher in the Rye non evoca solo idilliche immagini agresti all’orecchio dei lettori americani, per i quali sia la parola catcher che la parola rye sono molto familiari con un significato del tutto moderno. Catcher è chiamato uno dei giocatori della squadra di baseball, il “prenditore”, cioè colui che, munito di guantone, corazza e maschera, sta dietro il batsman (battitore) per cercar di afferrare la palla lanciata dal pichter (lanciatore) se il battitore non la respinge con la sua mazza. Col nome di rye si designa comunemente il whisky-rye, il popolare tipo di whisky ottenuto dalla fermentazione della segale o di una mescolanza di segale e malto. Il titolo The Catcher in the Rye, letto come puro accostamento di parole, suona come potrebbe suonare da noi Il terzino nella grappa.
Vista impossibile la traduzione, non ci siamo sentiti autorizzati a sostituire a un titolo cosí elusivo un altro che fosse scelto di nostro arbitrio. Ci siamo quindi limitati a chiamare il romanzo col nome del protagonista. Holden Caulfield è un personaggio ormai famoso e proverbiale negli Stati Uniti, l’eroe eponimo di tutta una generazione.
[N. d. E.]
Dall’ed. Einaudi più volte ristampata. (copia-incollata da questo sito)
 
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